Ultimo week end nelle città imperiali. La Bibi si è ammalata ma non era sola: al suo fianco il pivello Michele con cui lamentarsi, un santo. E naturalmente me e Alessia, la romana nostra ospite, che davamo un tocco di salute alla compagnia. Alessandro questa volta era rimasto a casetta a fare da guida ai suoi genitori, in gita in Marocco per una settimana. 
Fes è veramente troppo bella. E’ verde, è grande, è Marocco, è solare, è colorata! A volte è anche puzzolente se vai a vederti le concerie, dove
spalmano la pelle con la calce e poi la mescolano con gli escrementi dei piccioni (quelli che poi usano per cucinare la pastilla, piatto tipico di qui per me un po’ nauseante) e poi la colorano. La guida ci ha fornito della menta da metterci sotto al naso per non sentire l’odore, che però io non ho preso perché gli odori naturali mi piacciono abbastanza.
Abbiamo fatto moltissimi acquisti, tra cui tre splendidi scialli dai colori sgargianti che poi abbiamo prontamente indossato per fare le foto da dive. 
Abbiamo anche visitato il quartiere ebraico (mellah), dove oggi vivono i marocchini
(ci sono 180 famiglie ebree a Fes). Ci ha guidati un vecchio sdentato ubriacone che poi voleva farci fotografare le tombe e farsi comprare le sigarette…e non ce lo levavamo più di torno…
Il giorno dopo siamo saliti sulla collina e abbiamo guardato Fes dall’alto: una meraviglia. Da questo lato però si sentiva la povertà della campagna.
Un berbero ci ha seguiti per un buon quarto d’ora tentando di venderci uno splendido tappeto fatto a mano dalla moglie (che però non sapevamo proprio dove mettere) passando dalla somma di 200 dh alla metà. Io mi son sentita male.
Un bambino mi ha chiesto una penna e quando gli ho dato l’unica che avevo, una bic rosicchiata e senza tappo, l’ha stretta forte nel pugnetto e si è allontanato felice. Lì ho sentito l’Africa.