domenica 20 maggio 2012

Bukavu 6 anni dopo: a volte si ritorna


Oggi ho rivisto la mia amica congolese. Erano sei anni che non la vedevo né sentivo. Anni fa mi ha salvata dalla prigione, quando sono stata fermata senza passaporto nel mercato di Kadutu.  Arrivata a Bukavu ho provato a comporre il suo vecchio numero di cellulare, così, tanto per vedere se funzionava ancora e mi ha risposto lei, Lydie, che ora ha 25 anni, ha appena finito gli studi in sviluppo rurale e sta cercando lavoro. L’anno scorso ha perso il padre e tutta la famiglia (madre e dieci figli) è stata cacciata dalla casa in cui viveva. Ora vive in una nuova casa che la madre ha potuto permettersi di comprare, ma non hanno più la corrente quasi tutto il giorno come prima e devono ancora montare le lampadine al soffitto. A casa di Lydie ho incontrato il fratello che si è sposato nel 2008, con la moglie e i due bambini. La bambina Benedicte di 3 anni ha cominciato a parlarmi in Swahili anche se io non le davo risposte perché non capivo. Poi con una scusa si è voluta sedere in braccio a me con l’orsetto di peluche mezzo distrutto, ed ecco che tutti hanno cominciato a fare foto in posa con la Musungu (la bianca). E’ arrivato anche il piccoletto di 1 anno che  poco dopo mi ha vomitato addosso mentre guardavo l’album di matrimonio composto da almeno un centinaio di foto tutte uguali.
Ho chiesto del presidente Kabila, grande speranza nel 2006, quando ci furono le prime elezioni dopo anni di dittatura e guerre. Solo delusione…anche lui si è rivelato una delusione…in RDC non è cambiato niente. Mi hanno offerto i beignet e poi ho portato Lydie a casa mia, dove le ho fatto il risotto. Lei mi ha detto che dove vivo io ci sono i ricchi e infatti casa mia ha un giardino enorme, vista sul lago, il generatore di corrente quando quella centrale salta, internet, acqua calda a tutte le ore del giorno e una barca.
E proprio sulla barca, oggi, mentre io uscivo con Lydie, i miei due coinquilini americani e il francese hanno deciso di trovarsi con altri espatriati per passare una spensierata giornata sul lago Kivu, poi presso una cascina in mezzo ad una piantagione di chinino, per poi rientrare a casa verso le 17.
Ma alle 19 non erano ancora arrivati…
Non volendomi preoccupare immediatamente come al solito, ho inviato un sms chiedendo se sarebbero rientrati a cena. Niente per più di mezz’ora…ho così deciso di chiamarli…cellulari staccati. A quel punto mi sono detta che forse era capitato qualcosa. Sono andata dal guardiano, che è colui che bada alla sicurezza della nostra casa giorno e notte, e quello mi ha detto di chiamare la Centrale Radio. Si è scoperto che il battello era in panne in mezzo al lago Kivu e che erano stati mandati dei soccorsi per far ripartire la batteria della barca. Dopo un’ora e mezza eccoli arrivare con le auto dell’organizzazione, inconfondibili con la loro antenna radio alta più di un metro, tutti sani e salvi e stravolti. Da brava mamma, seppure preoccupata, avevo preparato mezza cena, così si è cenato tutti insieme mangiando come al solito troppo e probabilmente il quadruplo di quasi tutta la popolazione intorno a noi.

lunedì 9 aprile 2012

Il dentista americano

Premessa - Dovete sapere che io vado dal dentista da quando ho 4 anni come le signore di una certa età vanno dal parrucchiere. Perciò mi è capitato di andare dal dentista in tutti i paesi in cui ho vissuto con quasi sempre risultati discutibili e avventure di ogni sorta.

Poiché mi era giunta voce della bravura dei dentisti americani, ho pensato di andarci anche qui in America. E devo ammettere che l’esperienza non ha pari.

---------------------------------------------------------------------------------------------------

Per prenotare la visita ci ho messo una ventina di minuti: prima ho dovuto dare tutti i miei dati, poi tutti i dati dell’assicurazione sanitaria e poi tutti i dati di Andrea (a cui è intestata l’assicurazione). Nel frattempo mi sono stati proposti ben due trattamenti in offerta che ho gentilmente rifiutato, oltre che non capito del tutto.

Arrivata dal dentista ho scoperto un enorme stanzone con una decina di pazienti sotto i ferri, ognuno seduto su una diversa “sedia del dentista” contrassegnata da un numero. Anche i pazienti non hanno nomi ma numeri, ed io, per esempio, sono il paziente 66445.

Non sono riuscita a contare quanti dentisti ci fossero, poiché il posto era affollato di dentisti, assistenti e giovani studenti. Sono stata lì tre volte e mi hanno messo le mani in bocca tre dentisti diversi. Per una che in Italia va dalla stessa dentista da quando aveva 4 anni non c’è male…

Erano tutti molto felici delle mie lastre e mi hanno subito presentato il preventivo. Prima ancora di parlarmi della gravità dello stato dei miei denti si sono preoccupati di mettermi al corrente della spesa, confermando che qui qualsiasi cosa è sempre prima di tutto una questione di soldi. Soprattutto la salute, come noto.

Oltre a spaventarmi per il costo (ma rasserenarmi grazie alla relativa copertura assicurativa), sono rimasta senza parole nel guardare la lista di interventi che pensavano di farmi. Ho scelto infine il meno dannoso ma comunque utile: la pulizia dei denti.

Quando sono arrivata al nuovo appuntamento mi hanno fatta sdraiare su uno dei molti lettini e mi hanno chiesto almeno tre volte se volessi vedere un film mentre aspettavo. Posizionato proprio sopra la mia testa, stava infatti uno schermo, e accanto a me si trovava un lettore DVD. Per sembrare interessata mi sono fatta dire quanto avrei dovuto aspettare e poi ho deciso che sarei stata in grado di passare quei 10 minuti sola coi miei pensieri senza suicidarmi e ho risposto di no.

Poi è arrivato il momento della detartrasi, che io vivo con molta serenità come quasi tutte le altre operazioni dentarie. Tuttavia mi sono stupita e agitata quando ho visto che l’ossessione americana per il dolore li spingeva a farmi l’anestesia locale anche per una cosa così semplice. Mi hanno quindi anestetizzato per anestetizzarmi, mettendomi due graziose pastigliette anestetizzanti a forma di dentino rosso in bocca. Poi mi hanno iniettato lo schifo di anestesia curandosi di spiegarmi preventivamente l’entità del dolore che avrei provato ad ogni buco. E poi han finito tutto in cinque minuti di orologio lasciandomi la bocca impastata per ore. Mi hanno anche chiesto se volessi pagare tutto in una volta o a rate. Su indicazione di Andrea ho risposto “a rate”, anche se trovavo ridicolo pagare a rate 70$. Mi hanno presentato due diversi modi di pagamento a rate: 0 $ oggi, e tot e tot i due mesi successivi, 8$ oggi e tot e tot per i due mesi successivi. Ma erano seri??? Sì, lo erano talmente tanto che ho detto che dovevo studiare un attimo queste due opzioni perché non ci ero abituata. Ho finto di farmi qualche ragionamento intelligente a mente e poi ho dato una risposta a caso. Tutti eravamo felici e soddisfatti, e la mia esperienza coi dentisti americani, salvo gravi emergenze, si è conclusa.