martedì 24 marzo 2009

Marocco-Iran, crisi diplomatica

Il Bahrein «era una provincia dell' Iran» e, «se la popolazione potesse scegliere, ritornerebbe ad esserlo». La Repubblica Islamica sciita mette in dubbio la sovranità del piccolo emirato del Golfo. E fa saltare i nervi a molti Stati arabi sunniti che, spaventati dal potere crescente di Teheran in Medio Oriente, dalle sue ambizioni nucleari, dall' influenza che esercita sulle minoranze e maggioranze sciite della regione, si sono uniti in difesa del Bahrein. E il Marocco è arrivato ieri a sospendere i rapporti diplomatici con l' Iran. L' 11 febbraio, 30° anniversario della Rivoluzione islamica, Ali Akbar Nateq-Nouri, ex presidente del Parlamento iraniano e consulente della Guida Suprema Ali Khamenei (che detiene il potere nel Paese), ha definito il Bahrein una ex «provincia» dell' Iran che, per via della debolezza dello Scià, non era stata inglobata da Teheran quando nel 1971 il territorio divenne indipendente dalla Gran Bretagna. Il parlamentare Darioush Ghanbari ha aggiunto che, se i bahreini potessero scegliere in un referendum, si unirebbero all' Iran. Nello Stato alleato degli Usa (sede della Quinta flotta americana), governato dalla dinastia sunnita degli al-Khalifa (che alla fine del XVIII secolo cacciò i persiani), gli sciiti rappresentano il 70% della popolazione, sono emarginati dalla vita politica e discriminati dal punto di vista economico (proprio ieri nuove proteste). E sono influenzati dall' Iran. Il re e il parlamento del Bahrein hanno subito protestato contro i commenti «falsi» e «irresponsabili» di Teheran. Ci avete frainteso, ha replicato il ministero degli Esteri iraniano: «Rispettiamo la sovranità del Bahrein». Ma l' emirato ha interrotto le trattative con Teheran per la fornitura di gas naturale e proibito alle navi iraniane l' accesso alle proprie acque territoriali. Solidarietà al Bahrein dalla Lega Araba e dal Consiglio della Cooperazione del Golfo (di cui fa parte). L' Arabia Saudita e gli Emirati Arabi hanno condannato pubblicamente le «ostili» dichiarazioni iraniane. Il presidente egiziano Hosni Mubarak e re Abdallah di Giordania si sono recati a Manama, la capitale del Bahrein, in segno di solidarietà. E pure il Re Mohammad VI del Marocco (che è discendente del Profeta e si fregia del titolo di «Comandante dei credenti») ha detto la sua, inviando un messaggio al Re del Bahrein, Hamad Bin Isa al-Khalifa, contro i «commenti assurdi e in contrasto con principi e norme della legge internazionale, oltre che con i valori di coesistenza pacifica e buon vicinato propri della nostra tollerante religione islamica». Ma l' Iran, secondo Rabat, se l' è presa solo col Marocco, convocando l' incaricato d' affari al ministero degli Esteri di Teheran. Perciò già la scorsa settimana Rabat aveva richiamato in patria l' incaricato d' affari e convocato l' ambasciatore iraniano. Ieri la decisione di rompere i rapporti, accompagnata dall' accusa rivolta all' Iran di tentare di diffondere l' Islam sciita in Marocco. Non è la prima volta che Teheran mette in dubbio la sovranità del Bahrein. Anche nel 2007 un giornale iraniano sostenne che l' emirato appartiene all' Iran. «Sin dal 1971, l' Iran fa affermazioni simili. Non vuol dire che cercherà di annettere il Bahrein - dice al Corriere Tariq Khaitus, studioso del Washington Institute for Near East Studies -. Usa questo tema per provocare e intimidire gli Stati della regione, in particolare quelli del Consiglio della Cooperazione del Golfo, l' Egitto e la Giordania, cioè gli alleati degli Usa». E intanto la tensione cresce. «Gli Stati arabi vedono il potere dell' Iran aumentare in Medio Oriente dal 2003, dopo che gli americani hanno eliminato Saddam. L' Iran ha assunto un peso in Iraq, in Libano, in Siria, e anche nei territori palestinesi attraverso l' appoggio a Hamas e alla Jihad islamica. Inoltre Stati come Arabia Saudita ed Egitto ne temono l' influenza sulle proprie minoranze sciite». In Marocco, l' influenza degli attivisti sciiti sta crescendo, secondo le autorità, anche grazie al prestigio di gruppi legati all' Iran come l' Hezbollah e Hamas (benché quest' ultimo sia sunnita). [Viviana Mazza, Corriere della Sera 7 marzo 2009]

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In un articolo de Le Journal, rivista settimanale marocchina, si cita l'opinione di Mohamed Darif, specialista dei movimenti islamisti in Marocco.
Riporto per punti alcuni passaggi interessanti.

1) il nocciolo duro della corrente chiita marocchina si ritrova nelle tesi dello sciismo ideologico del Libanese Mohammad Hussin Fadlallah, considerato come il capo spirituale di Hezbollah. Fadlallah è favorevole ad una dimanica che tende piuttosto a conciliare sunniti e sciiti;
2) l'Iran ha congelato il riconoscimento dato al Polisario senza mai dichiararlo all'ONU. Il rafforzamento dell'asse Teheran-Algeri va automaticamente contro gli interessi marocchini;
3) il Marocco, come altri stati alleati agli USA, non vede di buon occhio il successo di Teheran in Iraq, in Libano e nella striscia di Gaza.

4) è la rivoluzione islamica iraniana del 1979 che ha spinto Hassan II [il precedente sovrano] a ristrutturare il campo religioso in modo che fosse sotto stretto controllo del Palazzo e del Ministero dell'Interno. Nello stesso periodo gli studi islamici tradizionali sono stati introdotti nelle facoltà. Abdelkebir M'Daghri Alaoui è stato nominato ministro degli Habouse degli Affari Islamici. Questi ha incoraggiato la corrente islamica wahabita che è all'origine di tutte le forme di estremismo religioso che vive attualmente il Marocco.


La festa del Moulud

Il 12 marzo i Marocchini hanno festeggiato la festa del Moulud, la nascita del Profeta, apparsa tra le pratiche musulmane nel X secolo circa e introdotta ufficialmente in epoca ottomana in alcune regioni. Non ne esiste traccia esplicita né nel Corano né nella Sunna. Tuttavia pare che gli shiiti la festeggiassero già in precedenza. Alcuni teologi la considerano legittima, mentre per altri è un'innovazione estranea all'Islam.

Da alcuni video che ho visto ad Oujda (ad est del Marocco) mi è parso di capire che dura una notte e un giorno e che si mangia e si danza andando quasi in trance...ma forse era il modo regionale di festeggiarla...perché in effetti a Rabat non mi sembravano così entusiasti...

domenica 1 marzo 2009

L’Aïd el-Kebir dell'ottobre 2008

L’Aïd el-Kebir (la grande festa) è la festa più importante dell'islam e ogni anno indica la fine dell' hajj (il mese dedicato al Pellegrinaggio alla Mecca).

Nel 2008 è stato ad ottobre. Non ne ho parlato per mancanza di ispirazione, ma credo sia giunto il momento.


(capisco lo schifo ma è pura informazione)

La festa dell'Aid el-Kebir viene anche chiamata festa del sacrificio perché commemora l'alleanza di Abramo con Dio (simbolizzata dall'episodio in cui il patriarca accetta di uccidere il figlio Ismaele per ordine di Allah) attraverso il sacrificio di un montone (a volte un vitello o una capra). Il sacrificio non è obbligatorio per i mussulmani, ma la maggior parte di loro tiene fortemente a questa pratica.

Matt (il mio ex-coinquilino francese) ed io camminavamo per la Medina, in cerca di immagini interessanti del fenomeno. Arrivati in Casbah incontrammo un ragazzo che, per farsi vergognosamente due soldi durante una festa religiosa (così dissero altri), ci invitò a casa sua a osservare il sacrificio.

Spettacolo raccapricciante.

Una volta ucciso il montone appesero la sacca di bile ad un muro per attirare la buona sorte e ci offrirono le interiora dell'animale, spiegandoci che il primo giorno si mangiano queste e che il successivo si mangia invece la carne.

Alcuni credenti ritengono sia obbligatorio uccidere l'animale con le proprie mani. Questo può provocare alcune difficoltà nei paesi in cui vivono minoranze mussulmane. In alcuni paesi occidentali, come la Francia, la pratica del sacrificio a domicilio è molto controversa. La Francia, tuttavia, non offre alcun luogo alternativo in cui la comunità mussulmana possa sgozzare gli animali sottostando a determinate norme igieniche. In altri paesi europei invece sono le autorità a farsi carico dell'abbattimento dell'animale. In Belgio nel 2007, è stato distribuito nei comuni e nelle moschee della regione di Bruxelles un fascicoletto in quattro lingue (francese, arabo, turco e olandese) con indicazioni sui 4 mattatoi comunali e i 4 privati della regione.

Bambini di strada a Casablanca


Camminavamo verso la Grande Moschea, quando un gruppetto di sei/sette bambini ha cominciato a seguirci. Ci stavano molto vicini e ci davano noia: ci tiravano le giacche, ci dicevano cose, ridacchiavano tra loro. Poi hanno iniziato a toccarci e ci hanno chiesto 5 dhs (40 centesimi di euro) per smettere.
Li abbiamo per principio mandati a fanculo e abbiamo attraversato la strada. A quel punto hanno iniziato a tirarci pietre.
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La loro età oscilla dai sei ai sedici anni, si trovano generalmente appiccicati ai vetri delle auto ferme ai semafori, con la mano tesa in attesa di qualche moneta o di un paio di sigarette. Alcuni sono impegnati nella vendita di quelle stesse sigarette al dettaglio o nel servizio di lucidatura delle scarpe ai passanti nei pressi delle stazioni fino a notte tarda. Li si incontra anche nei vicoli della città vecchia ad attirare l’attenzione dei turisti per chiedere loro la carità. In qualche modo fanno parte dell’arredo quotidiano di Casablanca. Errano per tutta la giornata in diverse zone della città e la sera dormono in case abbandonate, sotto i ponti, al porto o alla stazione ferroviaria. Questo fenomeno in espansione appanna l’immagine della città e ne preoccupa l’amministrazione, ma ciò che è davvero grave è che questi bambini che vivono in strada, vulnerabili ed esposti a mille pericoli, si trasformano spesso in aggressori: svaligiano macchine, rubano, rapinano e soprattutto diventano schiavi di stupefacenti distruttivi a partire dalla colla che imparano prestissimo a sniffare.

Selon des études, entre 2500 et 3000 enfants vivent dans la rue de Casablanca.

Le lancement d’une expérience pilote à Casablanca "ville sans enfants en situation de rue en 2010" et la création de nouveaux Centres sociaux de proximité, constituent les principales actions programmées pour l’année en cours par le ministère du Développement social, de la famille et de la solidarité. Cette expérience pilote ambitionne, à travers des réunions auxquelles prendront part tous les acteurs locaux concernés, autorités locales, ONGS et différents secteurs gouvernementaux, d’éliminer le phénomène des enfants de la rue d’ici 2010, a affirmé vendredi à Rabat la ministre du Développement social, de la famille et de la solidarité, Mme Nouzha Skalli.